01/12/09

Favola non contagiosa

Dato che qualsiasi area del mercato si vede costretta all'opportuna reclamizzazione, l'utilizzo sfrontato di questa pratica barbara vede perlomeno assoggettata anche la comunicazione sociale alle stesse regole, in bene e in male. Decimati da incidenti stradali e abuso d'alcool, i cittadini hanno modo di osservare quel pupazzetto in voga tanti anni fa, riesumato dalla fantasia a corto di argomenti di qualche paludato pubblico ufficiale, tutto intento a dispensare consigli su come proteggersi da un pericoloso morbo. Dopo un primo spot, siamo già ad un prematuro sequel, causato da un evidente flop dei saggi consigli dispensati dal roditore di gommapiuma: non di morti per influenza A c'è stata la carenza, ma di un sufficiente appeal del testimonial. Nonostante gli sforzi del doppiatore, e delle animatrici in nero cancellate per mimesi dalla visione sullo sfondo, il pubblico "sprovveduto" non ha ancora compreso a dovere la necessità di acquistare questo nuovo prodotto, e di prodotto si parla necessariamente, nonostante si tratti di un vaccino. Perché qualcuno ci sta guadagnando. Perché altre cause di morte e malessere, ben più radicate e devastanti, passano sotto silenzio nei canali mediatici. Di qui la necessità di un messaggio di rinforzo. Gigio, strappato dall'antica sceneggiatura che lo vedeva libero e spensierato interloquire con il mondo degli umani, costretti ad accostarsi allo sfondo del teatrino per permettergli di essere correttamente contestualizzato dal punto di vista visuale, è sceso in campo, e piazzato in una specie di ufficio dell'USSL in miniatura si dibatte come un qualsiasi altro impiegato statale, armeggiando con attrezzi da bricolage, grafici e una scrivania computerizzata, macabro ritorno di fuoco simbolico destinato a provocare nello spettatore l'aggancio mentale al mondo della burocrazia, del lavoro, del dovere istituzionalizzato. Con quella vocetta sottile, apparentemente rubata a un Luciano Onder che un dj ha deciso di far girare a 45 invece che a 33 giri, il povero topo irregimentato non riesce più a trasmettere alcuna verità sotto forma di favola, e si ritrova quindi costretto ad un nuovo umiliante ruolo di pezzo di realtà mascherata da favola, memore dei personaggi Disney che maltrattano Hitler nella propaganda anti-nazista degli anni '40, proteso a dispensare consigli, a snocciolare cifre e impatti della pseudo-pestilenza ad ascoltatori annoiati. L'adulto prenderà sottogamba questo pubblico ufficiale di pezza, il bambino potrà al massimo capire il linguaggio non verbale del personaggino, disposto per un attimo a diventare raggelante cheerleader della minaccia batteriologica portando una scala triangolare sopra al capo a mo' di lettera capitale. Anche un bambino lo capirebbe, attraverso quei minacciosi geroglifici che sono le parole ed i neri caratteri che enumerano patologie e funesti promemoria di future disgrazie, che la bontà del topino si è prostituita a qualche volontà superiore, sadicamente intenta a fare business sulla paura. Premiata dall'indifferenza, l'audience, per una volta tanto, non è stata disposta a cedere alla persuasione, migliaia di ampolline contenenti il balsamo salvifico restano nei loro contenitori, mentre di tanto in tanto alcuni medici si affacciano imbarazzati al riquadro televisivo per spiegare, tranquillizzare, ma comunque ricamare con grande professionalità sul grande sottointeso di una concreta minaccia alla nostra esistenza. Noi, futuri morti di incidente stradale o di disguido sul luogo di lavoro, mettiamo la peste accanto ai surplus merceologici, i biglietti d'auguri con suoneria incorporata, i copricellulari in gomma, i preservativi profumati, le promesse elettorali. Salvati dal nichilismo, una volta tanto, perderemo l'occasione di una dipartita alla moda, restando incatenati alla routine.

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