09/06/12

Autodistopia

Comunicazione di servizio, per chi cercasse qui notizie del progetto. Siamo fermi da un po', per una serie di motivi ininfluenti. Uno dei pochi buoni motivi è che il concept va rinnovato. Aldilà della convergenza e del rimodellamento delle fruizioni, è la pervasività dei format a rendere il concetto di "tv" altamente (ed erroneamente) discriminante. Effettuare una critica al marketing, già adesso, coincide con una dichiarazione di guerra interpersonale, specifica, individuale, indiscriminata. La dissoluzione dei non-prodotti richiederà, in qualsiasi scenario di ripresa di questo progetto, la reinvenzione di una tassonomia, il meno obsolescente possibile.

Se ci si domanda dove i formati siano rinvenibili, la risposta è (ed è sempre stata): ovunque.
Se ci si domanda quali di questi formati sia più economico decostruire, la risposta è: nessuno.

La mimesi dei formati rende ogni critica, anche la più blanda, una lotta fratricida.
Il consenso è veleno. L'esistenza è un distinguo. L'anonimia è solo un'anteprima in bassa risoluzione.
Se e quando il progetto ripartirà, non ci saranno più identità al riparo.
Nel frattempo, travalicate l'autofagocitazione, e sarete idealmente in linea con quanto già fatto.

tvsintegro@gmail.com

21/04/10

Scato-logica


EDIT: mala tempora currunt, sto escogitando qualcosa per il video, portate pazienza.

Impossibile non citare la dichiarazione di Vladimir Putin a ridosso della strage di Beslan del 2004: "Inseguiremo i terroristi fin dentro il gabinetto"; ecco realizzata quest'incredibile ed enfatica profezia, seppur rivolta a obiettivi diversi e solo apparentemente più meritevoli di questa sorte, anzi, inevitabilmente implicati in quanti veri e proprio terroristi batteriologici della nostra seduta. La grafica tridimensionale sdrammatizzante ci introduce nel sanitario e nei panni sporchi della coscienza imprecisa degli sceneggiatori: mentre un tempo il batterio viveva di dignità scientifica, godendo di una rappresentazione stilizzata che lo vedeva puntino in movimento o grafismo pluricellulare, ora è diventato un raccapricciante umanoide installato in vere e proprie abitazioni, come lo speaker istituzionale non manca di sottolineare, con una certa apprensione, su un overdub dissonante. Quale sia la colpa di questi esseri viventi non ci è dato sapere. Emanano un cattivo odore? Rischiano di trasmetterci malattie incurabili? O forse, semplicemente, hanno la colpa di esistere? Probabilmente il soggetto, già di per sé compresso nell'infantilismo più deteriore, non permetteva questo ulteriore approfondimento. Sarebbe scorretto definirli parassiti, quei piccoli Shrek tetradattili, dato che sembrano farsi efficacemente i fatti propri nascosti agli occhi di tutti, forse per assurgere, in un futuro remoto, a un piano di esistenza migliore consacrato dall'evoluzione o dal ciclo delle reincarnazioni regolate dal Karma. L'arrivo del nuovo è a becco ricurvo e abbattendo il campo batterico produce un suono scricchiolante che dà una certa soddisfazione: scalzato dal proprio artefatto arredativo costituito di calcare, il batterio traduce l'efficacia acida del liquido igienizzante in movenze ed espressioni facciali terrorizzate, oltre che con sommessi mugolii d'orrore. Brutti, sporchi e cattivi, gli intrusi si producono in una diaspora disperata trasportando con loro all'inferno un corredo di oggettistica inquietantemente umanoide, nel quale spicca il tipico fagotto da viandante, contenente, forse, una provvista di materiale proveniente dalle nostre viscere salvaguardato a costo della vita per finalità comprensibili solo al profugo immaginario. È innegabile che simili crimini grafici nei confronti dell'antropomorfia siano stati già prodotti in passato per animaletti addirittura più complessi dei batteri, come nel caso dei prodotti destinati a scacciare o ad uccidere insetti infestanti. È altresì innegabile che questo spot calvalchi l'onda di esaltazione sicuritaria e territoriale della nostra opinione pubblica, con la proiezione grottesca di fobie in auge sulla parete bianca di un cacatoio associabile alla qualità dell'inconscio della fetta di ascoltatori appagati dalla visione di questo cartoon morboso. Antisatirico e violento, il riverberarsi di disperati appelli alla propria identità si vede costretto alle uniche applicazioni possibili nel mondo della pubblicistica, il far piazza pulita, l'identificazione dei mali nelle persone piuttosto che nei fenomeni, la cecità degli abbienti mai paghi del loro benessere ed incapaci di migliorare la qualità dei propri malesseri, costretti per inanità a rinfocolare le angosce primordiali per tutto ciò che è diverso con un compiacimento sadico destinato ad essere condannato dall'economia, se non dalla Storia o dai basilari sentimenti della carità cristiana propagandati dalla nostra ipocrita religione di Stato.

20/02/10

Overdrive the change

Il tempo è denaro, e se quello che ci fa risparmiare il comodo utilizzo di mezzi di trasporto individuali figura nel nostro vissuto come una voce in attivo, il soverchiante secondaggio dello spot renault per il 2010 fa pensare ad un vero e proprio esborso economico. Nell'arco di un minuto e mezzo vengono esposte le tesi per cui questo, in particolare, dovrebbe essere il momento giusto per maturare una coscienza ecologica, e dato che in sottofondo procedono accordi di un pianoforte un po' scordato instant nostalgia, il messaggio si tiene cautamente alla larga da uno straccio di dato numerico che possa mettere l'ascoltatore a contatto con la realtà, preferendo una sorta di maieutica del senso di colpa ambientalista che, per ragioni che vedremo, sconfina nella demagogia pura. Il collage audiovisivo, calmo e frenetico al tempo stesso, gioca bambini a ripetizione come briscole, decanta gli innegabili benefici portati dall'economia del petrolio, mette assieme un preambolo surrettizio per cui ricordi personali ed innovazione dovrebbero essere considerati eventi legati a doppio filo. Sul prodotto automobile il potenziale acquirente si gioca, assieme ad un elevato numero di mensilità, il proprio bisogno di riconoscimento sociale, dato completamente slegato dal mondo naturale e dall'innalzamento degli oceani che minaccia di allagare il vialetto antistante al garage nella villetta americana stereotipata. Se si prende per buona la morale ecologista che Renault tenta di spacciarci così tempestivamente, bisognerebbe tributare almeno una standing ovation agli scienziati che enunciavano ipotesi sul global warming già negli anni '70. Se invece questo trend, che vede il nemico pubblico numero uno nel monossido di carbonio, va qualificato come un pretesto per creare nuovi fronti di mercato, usando la leva ideologica di un concetto altamente impalpabile come un cambiamento climatico tanto disastroso quanto posticipato nel tempo, dobbiamo inchinarci di fronte alla geniale creazione di un nuovo, onnipresente e infalsificabile nemico immaginario. Ad una benefica sospensione del giudizio non ci resta che affiancare l'analisi del disinvolto trasformismo dei principali responsabili del presente inganno o del futuro disastro: i grandi poteri economici. Benvenga l'auto elettrica, anche se il prima-durante-e-dopo di Renault resta disperatamente ancorato all'ultimo anello della catena energetica: a poco varrà potersi spostare senza emettere CO2 se per disporre della corrente necessaria questa è stata già emessa in blocco da un termovalorizzatore poco distante. Il revanscismo del nucleare porta con sé altri incubi, se non dell'eventuale contaminazione, certamente impossibile nelle costosissime centrali di nuova concezione, checchè ne dicano bambini deformi che ci parlano da Cernobyl, nella creazione di scorie orribili che saranno ancora pericolose quando i nostri filmati familiari attuali verranno integrati in forma di caro e vecchio ricordo negli spot buonisti di qualche casa automobilistica del futuro. Se pedagogia ambientale dev'essere, che sia di buona qualità, e non un prefabbricato di scarsa portata morale finalizzato a rimpinguare le casse di chi cerca frettolosamente di lavarsi le mani proiettando una manciata di fottute diapositive sulla parete bianca di anime credulone e spiritualmente fallate. Questo pentimento tardivo dell'automobile dovrebbe mostrarsi con un logo formato dai cadaveri di tutte le vittime di incidenti stradali del mondo, per assumere una vaga forma di autocritica. Mentre guardano una foglia svolazzare nell'aria, i piloti contribuiranno attivamente alla destituzione del crash test come banco di prova per la sicurezza, distraendosi e trasformando sé stessi in pupazzi sacrificabili in un esperimento più grande della loro capacità di comprensione. I motivi per cui l'economia del petrolio ha retto non hanno avuto nulla a che fare con principi ecologisti o vagamente morali, e noi, da utenti finali, preferiremmo accettare supinamente il cambiamento senza doverci subire anche una paternale con relativa emorragia di sentimentalismo a fiotti. Il futuro del trasporto è la smaterializzazione, ma questo contrasta con i principi di un'economia, quella sì, ormai da repertorio, ed il mancato entusiasmo che ci procura la saccente e accattivante propaganda delle corporazioni, tutta tesa ad indicare rivoluzioni fittizie, mitologia da spettacolarizzazione totale ed astratta, imbarazzante lavacro per coscienze nulle e destinate ad una vita mentale invariabile nella propria sudditanza psicologica, quello sì è il vero ed unico appiglio che ci resta con la realtà. Questa poesia da quattro soldi, evidentemente demagogica, evidentemente priva di un costrutto, è l'indizio inquietante di un'amnistia, è un licenziamento di massa, è l'inizio di una nuova guerra, e lo sarebbe anche se contribuisse attivamente e realmente alla salvezza dell'atmosfera, perché scongiura e sfiducia nel presente i sentimenti di chi dell'ordine costituito esige la vera immagine, totalitaria, disfunzionale, perennemente obsoleta, nemica giurata dell'individuo e della libertà di pensiero. Tutto ciò che appare conviene, il ributtante pressapochismo dell'evidente un giorno sarà decomposto e liquefatto da tutti gli individui che si sono sforzati di restare liberi, con una dignità da micro-organismi, ma efficaci digestori del presente, creatori dell'unica vera energia utilizzabile dai posteri.

18/02/10

RetoriCar

Mentre imperversa la polemica per la potenziale chiusura di uno dei suoi stabilimenti, con il conseguente impatto sociale che ne deriverebbe (una dinamica apparentemente dissonante con i contributi percepiti dallo Stato per la sua natura di azienda di interesse generale per la collettività) Fiat ci invita a salire sul trenino della memoria speculando con registro baritonale su quello che Erich Fromm definiva "la Grande Promessa di uno Sviluppo Illimitato". Il figlio di Ugo Tognazzi giustifica la miniaturizzazione dell'auto con motivazioni ecologiche, mentre in sottofondo Amedeo Minghi canta "1950", brano modificato per l'occasione al fine di includere nel testo il tozzo autoveicolo reclamizzato. Le approssimative aspirazioni ad un sogno imprenditoriale (che non si capisce quanto possa essere condiviso dal cittadino consapevole che ad ogni affondo sull'acceleratore un orso polare va alla deriva su un iceberg) vengono giustapposte a quelle della coppia italiana cantata da Minghi negli anni '80, un mix di volontà di realizzazione sentimentale ed economica comune ai cliché del neorealismo, con tanto di nome proprio dell'amata incastonato nelle liriche. Ma se nel brano originale Serenella osserva gli americani che se ne vanno dopo aver liberato l'Italia, nello spot beneaugurante del 2010 viene reclamizzato l'effettivo approdo della city car nei punti vendita di New York. L'impressione generale è che più che sentirsi invogliato ad acquistare il bene reclamizzato, lo spettatore dovrebbe sentirsi orgoglioso del fatto in sé, tributando il proprio consenso a quest'azienda storica ma controversa, o perlomeno deponendo quella molotov accesa che reggeva in mano con l'intento di dar fuoco ad un cordone di incolpevoli poliziotti armati di tutto punto. La 500 fa una virtù delle proprie dimensioni contenute, anche se la vediamo marciare solitaria su una carreggiata del Ponte di Brooklyn apparentemente lasciata deserta per l'occasione. Da questo polpettone double face, un ripieno di celluloide passatista avvolto in morbide facciate di grattacieli immaginifici, emerge un inaspettato colpo di scena, un'apertura solidaristica e confortante verso le fasce più deboli: "oggi sappiamo che non è importante quanto grande sei tu, ma quanto è grande il tuo sogno". Questa è una vera buona notizia, dacché non è un'intercettazione ambientale raccolta mentre Ricky Tognazzi, sorseggiando un margarita, cerca di abbordare una top model sotto al metro e settanta, immerso in una piscina nel contesto di un party esclusivo. Non bisogna farsi ingannare dal look futurista degli slogan a carattere slanciato: il migrante, appeso a un filo in acque extraterritoriali, può sentirsi finalmente compreso e colto nel suo stato di necessità impellente, armato com'è di un italian dream talmente forte da spingerlo a rischiare la vita per realizzarlo. Dulcis in fundo, questa morale omnicomprensiva ci convince attivamente delle buone intenzioni dell'impresa, evidentemente impegnata per il benessere della nostra patria e dei suoi futuri cittadini. Forse qualche benpensante sarà portato a leggere questo messaggio come un incoraggiamento un po' buonista a stelle e strisce, ma si sbaglia di grosso. Quella vecchia berlina aristocratica che si suddivide in cellule altro non rappresenta se non l'inizio di un inarrestabile processo di ridistribuzione fortemente voluto da FIAT. L'ottimismo ci deve portare a credere che in tempi brevi ci sarà abbastanza ricchezza per tutti, in uno scenario multietnico in cui basterà portare capelli intrisi di brillantina e ruminare la gomma del ponte per azzerare le tensioni sociali. Armati di valigie di cartone e broccolino, dovrebbe riuscirci più difficile condannare le mire espansionistiche dello Scià Ottomano.

17/02/10

Mente gravitazionale

Il rapporto con il passato, meccanismo fondamentale per dare un'interpretazione finalistica al presente giustificandone le contingenze, si fa strada nell'advertising creando lenti gravitazionali simili a quelle osservabili nel cosmo; alla stregua di basiti ricercatori con l'occhio incollato al telescopio elettronico, dobbiamo vedere la presenza di questi artefatti come uno strumento d'indagine e non come una semplice distorsione, addentrandoci in una nuova e diffusa voglia di flashback con la sicurezza di poterci trovare le conferme della relatività. Se il passatismo di altri spot opera in modo lineare proponendo un passato mitologico per attribuire (tendenziosamente) dei significati allo smarrimento del consumatore, al quale tocca guardare in faccia un meccanismo che ha cambiato il suo funzionamento, ad un'azienda più che mitologica come The Coca Cola Company dev'essere sembrato opportuno esaltare questo processo con una ridondanza: un doppio flashback. La primissima sequenza presenta un filmato d'epoca, per poi sfumare in una evidente ricostruzione di un filmato d'epoca, in cui il bianco e nero, assieme alle movenze pittoresche del barman, non ambiscono ad una verosimiglianza integrale, non pretendono cioè di creare un trompe l'oeil iperrealistico, ma desiderano farsi accettare come "ricostruzione dichiarata", dato certificato in modo definitivo dal ritorno ad un'immagine a colori nell'ultima parte di questo segmento. Se ci si fosse fermati qui, non ci sarebbe stato nulla di nuovo, ci saremmo trovati di fronte ad una narrazione canonica. Purtroppo l'occhio dello spettatore è costretto ad una sosta intermedia tra il passato remoto ed il presente. Alla ditta produttrice di bibite frizzanti non basta glorificare le proprie origini, ed ecco la nascita di un sottomondo della vita passata, paragonabile all'avvento della spaventosa torre del Purgatorio contrapposta a quelle profondità infernali che Dante voleva nascoste da qualche parte, sotto alle fondamenta di Gerusalemme. La retorica del disagio economico si rivolge al passato del consumatore con lingua bifida, rivalutando la proverbiale inventiva italiana, fatta di una capacità di rielaborazione tanto geniale quanto apparentemente "alla portata di tutti". La nostra mente è sottoposta ad un duplice cedimento prospettico. Quel presente privo di benessere, che vorremmo imputare ad una cospirazione mondiale che ha arricchito pochi oligarchi, viene messo sotto ad una nuova luce: a cedere non è stata la semplice rincorsa alla ricchezza materiale (gestita dal potere in tutte le sue forme), il mito del consumo è punto di partenza inderogabile anche per il nostro passato individuale, e la madre di famiglia, meritevole ma allo stesso tempo responsabile del successo del prodotto, diventa il vero bersaglio di nostre eventuali rimostranze per una busta paga assente o preoccupantemente assottigliata. Prendetevela con lei, che ci ha fatto avere successo, e quindi con voi stessi, sembra dire Coca Cola causandoci quello stesso lieve senso di soffocamento esperibile durante la deglutizione della famosa bevanda. Quel servile augurio di buonappetito, quell'inquadratura stretta su una tavola troppo affollata che ci fa sorridere unicamente perché si presenta come immagine di repertorio (una sorta di censura psicologica), cavalcano disperatamente il presente, sbandierando il passato come efficace vessillo mercantile. L'unica consapevolezza necessaria per disinnescare questo spot è che da parte dei persuasori non può avvenire revisionismo che non riguardi l'attualità più effimera, confezionando proprio rievocazioni storiche altamente deperibili come questa. Assoldati come comparse in uno spaghetti-western in cui compare il Colosseo, elemento dissonante del paesaggio, dobbiamo focalizzare con coraggio un pianista sul quale non solo si è sparato innumerevoli volte, ma che ha già ottenuto da tempo degna sepoltura. Sta a noi decidere se la musica che esce dallo stesso strumento tramite un nastro meccanico ci suoni altrettanto bene, decretare se il passato ci è funzionale o meno, al limite anche per inasprire il nostro conservatorismo, pistoleri arrembanti che calcano gli speroni nell'impiantito del saloon pretendendo di avere l'intera bottiglia di whisky, mentre gli altri avventori, terribilmente amorfi ed inodori, si limitano a stare ai margini della festa accontentandosi di sopravvivere a bevande dolcificate.

08/02/10

Qualcuno volò sul nido del culo

Uno dei più difficili compiti di qualsiasi pulsione critica, sia essa circostanziata o ingenua, egualitaria o faziosa, programmatica o incidentale, è quella di sapersi fermare in tutti quei casi in cui venga raggiunta una qualche tipo d'eccellenza, in sintonia con quella considerazione di Oscar Wilde che addita come imperdonabile non il fatto di compiere i grandi mali, ma di non compiere nulla di cui si possa parlare in modo interessante. È in questo modo che, come frastornati aeropittori sopravvissuti ad un atterraggio di fortuna, dobbiamo sì raccogliere le macerie della nostra povera psiche deturpata, va sì compiuta una benefica procedura di triage, ma vanno anche riconosciuti, tra le pieghe di una perversione contraria alle istanze di qualsiasi individuo, i palesi indizi di un grande capolavoro dell'orrido. La nascita, il più toccante degli episodi della vita, viene idealizzata e rappresentata da un bambino indiscutibilmente vivo appollaiato tra i nembi. Perfettamente formato, supera abbondantemente la morfologia del neonato di molteplici mensilità: sorride, staziona seduto, reagisce al movimento degli oggetti attorno a sé, e in particolare all'arrivo di una cicogna cibernetica che lo avviluppa colpevolmente nella carta igienica reclamizzata. Se possiamo tollerare l'idea di un'eccezionale gravidanza durata oltre misura, l'entrata in scena di una seconda bestia antropomorfa a pochi secondi dall'apertura con mascotte iniziale ci lascia subito spiazzati. Increduli ma già sulla difensiva, riusciamo a sostenere la spudorata enfasi romantica di un arpeggio di pianoforte e l'avanzare delicato ma inesorabile delle argomentazioni della voce narrante: mentre il bambino di sei chili per un mero scherzo del destino riesce a non perforare il cirrocumulo terminando in mare aperto, siamo tentati di farci catturare dalla poesia dettagliata delle immagini, dalla compiutezza del paesaggio, siamo persino disposti a perdonare. Ma scritte informative in font bastone scorrono su un festone di cellulosa, spostando l'ago della narrazione in direzione burocratico-ospedaliera, salvo degenerare, ormai fuori controllo, nella più scabrosa e diretta rappresentazione della parte anatomica deputata al consumo di Foxy. Già messi al tappeto da questa impossibile emulsione di epidermiche metafore visuali, infantilismo zoomorfo declinato in un pasticcio stilistico di cartoon e iperrealismo, nudità femminile gratuita (per quanto blandamente panneggiata dal rotolo vivente), decretiamo di seppellire noi stessi sotto alla pietra tombale dell'incredulità all'arrivo del colpo di grazia finale: appezzamento verdeggiante fuori porta, rustico ristrutturato ricoperto da graziose edere secolari e triade familiare stilizzata in luce di tramonto. Se solo quella cicogna avesse avuto un vero apparato digerente sotto al piumaggio renderizzato in Maya, i genitori l'avrebbero ringraziata offrendole del bacon alla griglia, accendendo il fuoco con vecchi giornali riportanti querelle parlamentari su pacs e dico ormai perdute nell'oblio di un passato analogico. Come una mosca nell'ambra questa ributtante orchestrazione di fantasie e perorazioni disfunzionali resterà a testimoniare lo spirito del tempo. Gli acquirenti, analfabeti emotivi e sostenitori bigotti del nucleo familiare in salsa ecologista, necessitavano di queste suggestioni favolistiche per edulcorare esistenze turbate dall'imperfezione di un tubo di scarico, ma anche del posteriore di una bella donna che facesse alzare pressione ed attenzione. Come punto morto inferiore di tutte le retoriche causate dall'abbattimento dei confini nazionali dei mercati, i Neanderthal, per grazia del Signore, periranno affogati nei marosi di sistemi di valori terribili e utilitaristici (in teoria da loro stessi sostenuti). Dall'una tantum per ogni nuovo pargolo, lanciato con lo stesso spirito etico di un incentivo alla rottamazione, al controllo delle nascite. Dai cartelli monopolistici cammuffati da libera concorrenza, al vero libero mercato. Dai cieli azzurri dell'ideologia spazzatura ad uno spazio aereo controllato da Mig con motori a reazione che, nel superare con uno schianto il muro del suono, inceneriranno volatili di passaggio e imbarazzanti parabolette consumistiche.

05/02/10

Reach out and touch pain

Le pubblicità personalizzate che campeggiavano sui megascreen rivolgendosi direttamente al singolo passante non esistono più solo nell'immaginario cyberpunk raccontato dal Minority Report di Spielberg. Il product testing suggerito all'ascoltatore viene esercitato, da un punto di vista formale, tramite un verbo all'imperativo, e sembrerebbe non lasciare molte alternative se non fosse che "provare" implica di per sé l'eventualità di un insuccesso, in agguato per chi non fosse in grado di praticare il fondamentale meccanismo della respirazione, magari a causa di un insufficiente coordinamento psicomotorio, o perché confinato nell'angusto spazio di un polmone d'acciaio da tragiche fatalità. Il provvido suggerimento sembra nascere da sé, pregno della sua validità educativa, in un luogo e per un motivo imprecisato: la scarsissima profondità di campo dell'inquadratura confonde l'anello della visione periferica che potrebbe darci qualche indizio sul contesto del monologo, e non bastano spalline candide riconducibili ad un camice, al limite inferiore dello schermo, per confermare inequivocabilmente che dietro a quel seducente viso di donna si celi un vero medico, che sarebbe vincolato, pur nella finzione pubblicitaria, all'onestà delle proprie affermazioni dal giuramento d'Ippocrate. Anni fa un'indagine espose l'intera categoria all'imbarazzo portando alla luce la pratica diffusa dell'evasione fiscale: sarà per questo che non è più in auge declamare in pompa magna che il prodotto è raccomandato dall' Associazione Medici Dentisti Italiani? Più probabile che l'intento di quello sguardo che non si stacca per un attimo da quello del telespettatore sia di tirare in ballo un'istituzione ancor più potente, la coscienza parasintomatica del ricevente, per una volta tanto messo in grado di sperimentare in prima persona, più che gli esiti del banale atto diagnostico suggerito, la soddisfazione di poter accedere all'intero ciclo di bisogno ed acquisto perfettamente giustificati . All'accuratezza pittorica del ritratto emotivo dell'emittente materiale del comunicato, caldo, ravvicinatissimo, eppure impersonale, segue il doveroso cliché dell'esemplificazione in computer graphics. Per il semplice fatto di mostrarci i veri responsabili del dolore venuto dal freddo, perpetrando un "viaggio allucinante" all'interno del nostro corpo, la frastornante biopsia ci espone indifesi alla novità dell'ignoto. A rendere ancor più inesorabile questo manifesto del determinismo ci viene denunciato il nome degli organelli deputati ad infliggerci sofferenza, un misto di latino e raccapricciante diminutivo che, mettendoci per un attimo a contatto con l'esoterismo della terminologia scientifica, ci costringe a ricordare la nostra vita clinica passata, o a temerne una futura. Mentre ancora battiamo i denti, il packaging sobrio del presidio medico fa la sua comparsa e ci avvince, pazienti allarmati che scavano in un cassetto pieno di antibiotici prescritti da un medico di base facilone, necessitiamo di una scritta segnaletica extrabold più che di colori accattivanti, e ci aggrappiamo alla certezza finale: il preparato medicamentoso fa e garantisce, anche in tutti i casi in cui l'imperizia o l'ipocondria ci abbiano giocato brutti scherzi. Non c'è alcun rimando ad un'autorità esterna, e in fondo quasi ci dispiacerebbe essere esclusi da questa opportunità curativa che è anche esaltante pratica d'autocoscienza. Varrebbe la pena d'acquistare comunque il prodotto, anche in assenza della sintomatologia dolorosa, o come minimo siamo tenuti a tentare e ritentare lo stimolo ai nocicettori nascosti, soffiando ossessivamente come felini sull'orlo di una crisi di nervi, spinti a cercare il prezioso appagamento di una soluzione, a costo di inventarci il problema per un conclamato fenomeno di pareidolia.

27/01/10

Spot Pfizer

Tvsintegro vi presenta la prima contribuzione audio/video del blog da parte di un ascoltatore!

Ringraziamo l'Ing.Altobelli e confidiamo che questi episodi di interazione attiva diventino sempre più contagiosi!


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