20/02/10

Overdrive the change

Il tempo è denaro, e se quello che ci fa risparmiare il comodo utilizzo di mezzi di trasporto individuali figura nel nostro vissuto come una voce in attivo, il soverchiante secondaggio dello spot renault per il 2010 fa pensare ad un vero e proprio esborso economico. Nell'arco di un minuto e mezzo vengono esposte le tesi per cui questo, in particolare, dovrebbe essere il momento giusto per maturare una coscienza ecologica, e dato che in sottofondo procedono accordi di un pianoforte un po' scordato instant nostalgia, il messaggio si tiene cautamente alla larga da uno straccio di dato numerico che possa mettere l'ascoltatore a contatto con la realtà, preferendo una sorta di maieutica del senso di colpa ambientalista che, per ragioni che vedremo, sconfina nella demagogia pura. Il collage audiovisivo, calmo e frenetico al tempo stesso, gioca bambini a ripetizione come briscole, decanta gli innegabili benefici portati dall'economia del petrolio, mette assieme un preambolo surrettizio per cui ricordi personali ed innovazione dovrebbero essere considerati eventi legati a doppio filo. Sul prodotto automobile il potenziale acquirente si gioca, assieme ad un elevato numero di mensilità, il proprio bisogno di riconoscimento sociale, dato completamente slegato dal mondo naturale e dall'innalzamento degli oceani che minaccia di allagare il vialetto antistante al garage nella villetta americana stereotipata. Se si prende per buona la morale ecologista che Renault tenta di spacciarci così tempestivamente, bisognerebbe tributare almeno una standing ovation agli scienziati che enunciavano ipotesi sul global warming già negli anni '70. Se invece questo trend, che vede il nemico pubblico numero uno nel monossido di carbonio, va qualificato come un pretesto per creare nuovi fronti di mercato, usando la leva ideologica di un concetto altamente impalpabile come un cambiamento climatico tanto disastroso quanto posticipato nel tempo, dobbiamo inchinarci di fronte alla geniale creazione di un nuovo, onnipresente e infalsificabile nemico immaginario. Ad una benefica sospensione del giudizio non ci resta che affiancare l'analisi del disinvolto trasformismo dei principali responsabili del presente inganno o del futuro disastro: i grandi poteri economici. Benvenga l'auto elettrica, anche se il prima-durante-e-dopo di Renault resta disperatamente ancorato all'ultimo anello della catena energetica: a poco varrà potersi spostare senza emettere CO2 se per disporre della corrente necessaria questa è stata già emessa in blocco da un termovalorizzatore poco distante. Il revanscismo del nucleare porta con sé altri incubi, se non dell'eventuale contaminazione, certamente impossibile nelle costosissime centrali di nuova concezione, checchè ne dicano bambini deformi che ci parlano da Cernobyl, nella creazione di scorie orribili che saranno ancora pericolose quando i nostri filmati familiari attuali verranno integrati in forma di caro e vecchio ricordo negli spot buonisti di qualche casa automobilistica del futuro. Se pedagogia ambientale dev'essere, che sia di buona qualità, e non un prefabbricato di scarsa portata morale finalizzato a rimpinguare le casse di chi cerca frettolosamente di lavarsi le mani proiettando una manciata di fottute diapositive sulla parete bianca di anime credulone e spiritualmente fallate. Questo pentimento tardivo dell'automobile dovrebbe mostrarsi con un logo formato dai cadaveri di tutte le vittime di incidenti stradali del mondo, per assumere una vaga forma di autocritica. Mentre guardano una foglia svolazzare nell'aria, i piloti contribuiranno attivamente alla destituzione del crash test come banco di prova per la sicurezza, distraendosi e trasformando sé stessi in pupazzi sacrificabili in un esperimento più grande della loro capacità di comprensione. I motivi per cui l'economia del petrolio ha retto non hanno avuto nulla a che fare con principi ecologisti o vagamente morali, e noi, da utenti finali, preferiremmo accettare supinamente il cambiamento senza doverci subire anche una paternale con relativa emorragia di sentimentalismo a fiotti. Il futuro del trasporto è la smaterializzazione, ma questo contrasta con i principi di un'economia, quella sì, ormai da repertorio, ed il mancato entusiasmo che ci procura la saccente e accattivante propaganda delle corporazioni, tutta tesa ad indicare rivoluzioni fittizie, mitologia da spettacolarizzazione totale ed astratta, imbarazzante lavacro per coscienze nulle e destinate ad una vita mentale invariabile nella propria sudditanza psicologica, quello sì è il vero ed unico appiglio che ci resta con la realtà. Questa poesia da quattro soldi, evidentemente demagogica, evidentemente priva di un costrutto, è l'indizio inquietante di un'amnistia, è un licenziamento di massa, è l'inizio di una nuova guerra, e lo sarebbe anche se contribuisse attivamente e realmente alla salvezza dell'atmosfera, perché scongiura e sfiducia nel presente i sentimenti di chi dell'ordine costituito esige la vera immagine, totalitaria, disfunzionale, perennemente obsoleta, nemica giurata dell'individuo e della libertà di pensiero. Tutto ciò che appare conviene, il ributtante pressapochismo dell'evidente un giorno sarà decomposto e liquefatto da tutti gli individui che si sono sforzati di restare liberi, con una dignità da micro-organismi, ma efficaci digestori del presente, creatori dell'unica vera energia utilizzabile dai posteri.

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