19/03/09

Il cliente perfetto

Questo spot va considerato come un piccolo capolavoro di onestà, una spanna sopra alle molte affabulazioni che vengono sottoposte agli spettatori. Pur riguardando un prodotto alimentare di un certo prestigio, lo spot si concede la libertà di fare il verso a tutto quell'advertising spasmodicamente teso alla creazione di status symbol, e mette in una luce completamente diversa la protervia dei settori della tecnologia, del design, della moda, del lusso. Per (i pochi) che non avessero visto l'episodio precedente, una breve introduzione: dopo una noiosa attesa la cliente raggiungeva il suo turno al bancone dei salumi, annunciato dalla chiamata del numero diventata ormai prassi per evitare file disordinate nei supermercati. Ma alla richiesta di generico prosciutto crudo, la cliente veniva snobbata dal banconista eccessivamente elegante che volgeva lo sguardo altrove, chiamando il numero successivo, punendo in questo modo la vaghezza della richiesta della signorina, e indicando, implicitamente, il Prosciutto di Parma come prodotto d'elezione non confondibile con gli altri. Il sequel è ancora più esplicito nella sua riflessione meta-merceologica: il cliente è ormai prosumer anche nei confronti dei generi alimentari, contornati di brand awareness e valore aggiunto al pari dei gadget tecnologici, e accedere a questo prodotto richiede sforzo, ricerca di mercato (nel proprio piccolo), ed impegno economico. Nulla di cui stupirsi se dunque la signorina deve affrontare un training degno di Rocky per poter finalmente sfoggiare l'oculatezza del proprio acquisto, anche se in fin dei conti riguarda dell'umile affettato con cui imbastire uno spuntino veloce oppure, al massimo della nobiltà gastronomica futuribile, una vassoiata di proverbiale prosciutto e melone. Come non sentirsi sanamente presi in giro, per tutte le volte in cui soppesando il valore di un prodotto ci appoggiamo pesantemente alla marca, favorendo proprio i meccanismi pubblicitari e premiando i prodotti che ci discriminano come consumatori chiamando direttamente in causa la nostra autostima, affamati come siamo di conferme circa la nostra identità e circa la nostra appartenenza ad una fascia di benessere sociale piuttosto che un'altra? Passi una metafora ornitologica per cui alla superiorità eugenetica del pavone maschi di altre razze di volatili sopperiscono, nella fase del corteggiamento, rubando le penne d'altri e affiggendole temporaneamente al proprio piumaggio per impressionare la femmina, in un embrionale tentativo di cosmesi. L'arroganza un po' white power di Sly che ha cavalcato impunemente l'intero arco degli anni '80 è dura a morire, l'accostamento del consumatore a quel tipo di spinte superomistiche molto appariscenti è una denuncia esplicita dei meccanismi perversi dell'advertising. È subito cult la scena dell'allenamento condotto con colpi sferrati al prodotto, un'iperbole eccezionale dell'attrito sociale precedente all'acquisto, una glorificazione del grottesco rapporto amore-odio con i beni materiali, quasi una denuncia. Di tutto si può accusare chi ha confezionato questo spot, ma va riconosciuto il gioco a carte scoperte, e per questo viene conferito a pieno titolo il Premio Acqua Fresca, per gli spot meno lesivi della dignità umana.

1 commento:

scriviperme ha detto...

Trovo queste considerazioni assolutamente condivisibili. Aggiungerei che in questo caso Prosciutto di Parma si è comportato a sua volta come un Cliente Perfetto per l'agenzia di pubblicità, lasciando che il messaggio assumesse tutti quei metasignificati che hai così ben elencato.
Per il resto....Il cliente non ha sempre ragione!


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