20/04/09

Libertinaggio bigotto

Chissà cosa potrebbe aver pensato J. G. Ballard, che mi immagino intontito davanti ad un televisore negli ultimi giorni della sua vita conclusasi ieri, alla visione di questo spot che inscena una vera e propria situazione onirica e che, nel finale, riproduce anche un tratto visivo del surrealismo nelle gambe allungate a dismisura. L'analogia che cerca di trasferire l'appetenza sessuale su un'appetenza gustativa ha il suo primo impatto nell'oggetto del desiderio più esplicito, tanto ingombrante da doversi confrontare con i limiti consentiti dal formato video 4:3. Tuttavia, dopo la quinta o sesta visione consecutiva del breve spot, non è l'elemento sbarazzino-sexy né quello pseudo-feticistico a destare interesse. Il paesaggio da sogno trova la sua ambientazione nel suono dell'orchestra romantica e drammatica, impossibile broadcasting di una colonna sonora cinematografica dei tempi andati, captato da una radiolina fuori campo. Ma la natura prettamente onirica delle immagini trova la sua cifra nella disinibizione del giovane baciatore. Si ha cioè l'impressione che l'ingombrante pezzo di figliola sia soltanto un cospicuo paravento necessario a coprire le mancanze dell'acquirente, le stesse che causano il nevrotico desiderio di una gomma americana antistress da ruminare, assimilabile al disdicevole fenomeno del tìcchio negli equini, mancanze che lo vedono ormai disposto all'umiliazione, non tanto per l'atto che produce, ma per l'orribile postura da primate con cui la produce. Non basta un sospiro affaticato che alluda al senso del dovere per riqualificare il giovane, nè ha veramente bisogno di un riscatto da parte della morale, essendone già esente in quanto entità psichica nel regno di Morfeo. Questa sua postura grottesca è al tempo stesso anche valvola di sfogo che permette al desiderio dello spettatore di fluire liberamente: la scena è così finta da essere accettabile senza ripensamenti. E così, mentre ne La mostra delle Atrocità J. G. B. vedeva curve di donna in dune desertiche per paragonare tra loro bellezze ugualmente terribili e indagare l'inconscio, Vivident piega direttamente il femminino alle sue esigenze, sperando di spacciare un'inversione caricaturale del rapporto di potere uomo-donna per vena satirica. Questo politically correct è altamente contraddittorio, dato che l'erotizzazione dei prodotti nell'advertising è condannabile in quanto tale, annosa piaga sociale, pratica che pesca nel torbido e uccide la reale poesia che scaturisce dall'abbattimento di veri tabù in vere società, un libertinaggio dall'alto che inquina la sfera del desiderio, e che non ha niente a che fare con la libertà dell'individuo. Libertinaggio bigotto destinato ad incantare troppo seriamente spettatori intrisi di insoddisfazione, meccanismo industriale in cui la concorrenza si traduce in guerra di endorfine indotte per immagini, gara al ribasso che vede perpetrarsi in eterno quelle stesse manifestazioni di maschilismo che l'Occidente osteggia quando si manifestano in eclatanti fatti di cronaca al di fuori dei propri confini, ma di cui adora doparsi quotidianamente senza alcuna indignazione.

1 commento:

giardigno65 ha detto...

vero, è orribile


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