20/05/09

Gelati da un brutto trip

A tutta prima verrebbe da pensare che dietro alla trovata del biscotto gelato capace di produrre un vero e proprio trip lisergico ci sia un qualche spirito sessantottino. La natura stessa del prodotto assomiglia alle tavolette di cartone che vengono intrise del principio attivo. Molto deludentemente non posso dire se gli effetti siano davvero quelli raccontati dallo spot, ma come tutti gli ex-bambini anch'io ho tentato invano di leggere le barzellette incise con caramello su biscotti gualciti dalla calura estiva. Impegnato al piano nell'esecuzione di uno spartito che purtroppo non ci è possibile zoomare a sufficienza per individuarne autenticità e correttezza formale, il bambino/consumatore viene salvato da una madre che decide di concedere al figlio un break dal perbenismo a cassa di risonanza verticale. Un'occasione mancata di sanità mentale e acculturazione, dati i tempi che corrono. La genitrice invariabilmente sorridente degli spot è sempre un toccasana per la rappresentazione della donna in ambito pubblicitario: niente seni strizzati da push-up o trucco pesante, pur restando sufficientemente telegenica ha il viso un po' emaciato, consumato, più che dalle traversie della gravidanza, dalle infinite esposizioni televisive che di solito la vedono impegnata a confermare le bestiali bramosie maschili a favore del Prodotto interno lordo. Ma ecco che all'improvviso le tonalità un po' seppia un po' panna materna del setting casalingo sfumano nella ben più vivace palette di colori immaginata del fanciullo sfuggito alla sua piccola Alcatraz. Uno sfringuellamento vagamente elettronico segna il cambiamento di contesto, puntuale e introduttivo come la doverosa passata sui chimes di un batterista che lancia la ballad della serata. A tutta prima i colori e il movimento sembrano suggerire un moto d'effettiva liberazione. Ma nonostante i sorrisi del protagonista, il presunto scatenamento delle fantasie infantili tramite il prodotto approdano ad una crepuscolare replica degli aspetti più inquietanti della normalità. Dapprima il pianoforte del quale si era appena liberato riappare come unica via percorribile, sovrapposto a noiosissime strisce pedonali protagoniste, nella cronaca recente, di inasprimenti legislativi per chi non le utilizza correttamente. La sua casa diventa un po' una Bauhaus ricca di suddivisioni cromatiche alla Paul Klee, non priva di ingranaggi industrializzanti. La cara vecchia bicicletta trasformata nel razzo cavalcato dal soldato americano nel finale de Il Dottor Stranamore. E poi arriva la bestia antropomorfa, giustamente in pendant con l'ingrediente per eccellenza, il latte, e quindi avente le sembianze di una tozza vacca super deformed. L'animale, pur di sfuggire alla tetra morsa delle mungitrici elettriche e alle perpetue gravidanze indotte, necessarie a garantire la continuità della produzione, parla chissà come con voce maschile. Inoltre non lascia scampo al bambino che, già munito del prodotto retto visibilmente in mano, viene ancora incalzato circa la bontà di Cucciolone con un'insistenza francamente eccessiva. Un incubo da discoteca futurista appare sullo sfondo, una totale assenza di fantasia va alla ricerca del fenomeno da cabaret tramite la presenza di due bimbe gemelle freak già avviate al tristo mondo dello spettacolo... cristo santo, a quel fanciullo avrei augurato di incontrare un hippie attrezzato di bong piuttosto che doverlo vedere in pasto alla grigia concezione dell'infanzia propria dei tele-genitori: un deserto dell'immaginazione abitato da oggetti parodia del mondo reale, solo un po' più sproporzionati e colorati, germi di una noia incombente che non fa scaturire proprio nulla indipendentemente dallo spiegamento di mezzi. L'ennesimo alimento balza fuori da ondate dei propri ingredienti, l'ennesima mascotte dall'ECG piatto viene impiegata solo per elencare disperati aggettivi. Agghiacciante l'inquadratura finale a volo d'uccello in cui ogni casa ha obbligatoriamente una piscina. Sfuggire alla realtà sta diventando più facile che sfuggire a brutte opere di fantasia, laddove il brutto non dipende necessariamente dall'aderenza a canoni figurativi tradizionali e rassicuranti, ma prende forma a causa di un'eccessiva riverenza per l'esistente che è l'incubo di chiunque un po' di fantasia ce l'ha per davvero.

Nessun commento:


View My Stats