22/12/09

Nontintendo

La augmented reality di cui già ci parlava W. Gibson nel suo romanzo "Luce Virtuale" nel 1993 comincia a fare la sua apparizione grazie ai balzi da gigante compiuti da quella branca dell'informatica chiamata pattern-recognition, area di ricerca destinata a popolare il mondo di tag come mai avremmo immaginato, per poi categorizzare la realtà e riproporcela grazie ad innovative interfacce uomo-macchina, raggiungendo forse quel distacco totale dalla realtà inteso come nirvana tecnologico trans-umanista. Prima che Matrix diventi la cine-liturgia di un futuro distopico e un imbalsamato Keanu Reeves venga deposto in un mausoleo come fu fatto con il tovarish Lenin, bisognerà fare i conti con i primi goffi approcci commerciali, costretti alle esemplificazioni più triviali per spiegare una tecnologia nuova e sconosciuta agli ascoltatori. Tutti i vari spot di Nintendo DS convergono a quest'idea di prova su strada tradotta direttamente in reclamizzazione per il suo contenuto di novità (ricordate i primi innocenti spot sul park assist, o l'abuso del termine "virtuale" durante l'esplosione della New Economy negli anni '90?), ed anzi l'adesione dello spot alla performance del prodotto è tanto fedele quanto imbambolata: nel produrre una casistica empirica l'oggettino se ne esce infatti vagamente bruciato. Quello che poteva essere un interessante babelfish diventa un gadget per nerd incapaci di intraprendere un'esperienza culturale a tutto tondo. Gli inossidabili giapponesi, evocati ad ogni piè sospinto come paradigma della diversità, infelice revival di quell'orientalismo strumentale tanto caro agli abitanti del Vecchio Mondo, restano uguali alla smagliante raffigurazione fantozziana. Ugo e la signorina Silvani, questa volta, grazie a Nintendo tentano di cavarsela meglio, evitando il contatto con alimenti, idee, e forse pratiche di vita difficilmente introitabili nell'arco di una serata. Il Giappone è un'immensa coscia di pollo nella mente dell'occidentale, l'incomunicabilità si vuole relegata unicamente al linguaggio, l'intraducibilità delle espressioni idiomatiche non viene nemmeno presa in considerazione, in osservanza ad un dispotismo che vede la parola come referente assoluto degli oggetti della realtà e non secondo la rivelatoria massima "il linguaggio è poesia fossile" di R. W. Emerson: le parole, il significato delle quali diamo per assodato, sono unicamente metafore assodate, rimandanti a loro volta ad altre metafore, in una catena senza fine. Non esistendo una traduzione indenne agli accidenti di vocabolari costruiti empiricamente, i due commensali, a causa di un bug del software, ordineranno per errore una generosa porzione di Fugu, il velenosissimo pesce palla per il quale il cliente del ristorante firmerà a casaccio la liberatoria mentre gioca a Tetris, salvo perdere la partita per le successive contrazioni spasmodiche indotte dalle neurotossine appena ingerite assieme alle carni della prelibatezza tipica. Ma anche dando per buona la creazione di software sempre più semantici e precisi, a cosa si ridurrebbe l'utente se non a quel fantasma intrappolato nella "Stanza Cinese" che da paradossale teorema dell'indimostrabilità della coscienza diventerebbe un diabolico test di Turing in cui al vero uomo non è permesso distinguersi dalla macchina pensante? Attenderemo la diffusione di questo gioiellino della tecnologia per rendercene conto, mentre Microsoft sviluppa Photosynth e in tutto il mondo fotografi dilettanti pubblicano in Rete immagini dotate di coordinate GPS. Attenderemo per non renderci conto che i cambiamenti tecnologici, o almeno quelli degni di questo nome, di solito influenzano la nostra vita ancor prima di manifestarsi concretamente con una faccia amica.

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