22/12/09

Miglior non-protagonista

Come in passato fece la saga di spot del Prosciutto di Parma, il setting del supermercato ci consegna un'altra perla di autocoscienza pubblicitaria, e diventa luogo privilegiato di quello che potremmo definire commedia sofisticata dell'advertising, una sit-com in cui i ruoli sono ormai indiscussi, e si specula sulle interazioni cliente-fornitore in chiave leggera e disincantata, parodistica, volutamente grottesca, e quindi paradossalmente più veritiera. Ben lungi dal porsi come punto di partenza di una riflessione, la ponderosa forma di grana si sottovaluta, eleggendo in modo sproporzionato l'incredula acquirente a campionessa immotivata, e spingendosi a stenderle davanti un red carpet surreale sul quale viene acclamata dall'ottusità di tutti gli altri consumatori. Ossigeno per intelligenze fiaccate dal tradizionale modus operandi dell'advertising, una fabbrica di proposizioni auto-fondanti istericamente protese alla proiezione del bene in un mondo di valori decisamente fuori portata (e fuori tempo massimo). Come strilloni al banco del mercato, un'infinità di spot pretende credibilità e attenzione a scatola chiusa, fornendo segmenti di realtà che valgono solo se creduti, quella "cinematografia trasparente" che escludendo il fuori campo facilita la visione e la percezione, proprio perché non permette la cognizione. Su questa potente corrente ascensionale di presunzione e protervia qualsiasi declinazione ironica veleggia senza sforzo, appoggiandosi alla forza bruta di consuetudini reiterate tristemente, e consegna un messaggio dotato di quel briciolo di naturalezza in più che non va in cerca dello svilimento mentale dell'ascoltatore. Lo speaker cita più volte la "verità" del prodotto, e dato che in una pubblicità diamo per scontato che questa non possa esistere, siamo costretti a prenderla come un'affermazione trasversale: all'ascoltatore non si vuole spacciare una verità, ma soltanto un armistizio che faccia deporre le armi dell'indagine e metta da parte in blocco la fallace tensione verificatrice dell'advertising. Così com'è impossibile che basti afferrare una confezione di formaggio grattuggiato per scatenare una premiazione con tanto di trombe trionfali, paparazzi e bodyguard, è impossibile che sia veritiero quello star-system che vive proprio di questa superficiale fenomenologia. La messa in campo della contraddizione, insomma, taglia fuori tutto il meccanismo del marketing persuasivo al primo livello per stabilire una (ipotetica) conversazione a livello superiore tra due nuovi interlocutori: l'ascoltatore e l'inserzionista colto nella sua impellenza, piuttosto che l'ascoltatore e un oggetto inanimato spinto buffamente sulla ribalta. Una televisione che enunci di parlare di verità è come un prestigiatore che sorridendo ci mostra i propri trucchi: la tecnica necessaria alla performance è dichiaratamente concreta e onerosa (il prestigiatore, per giocarci, deve essere molto bravo), e la meraviglia che proviamo è dovuta al fatto che ci inganni in virtù di un'illusione perfettamente "tangibile" (il prestigiatore non tira in ballo il sovrannaturale, se non in modo farsesco). Ovviamente non basta questa piccola concessione a stabilire una condotta virtuosa dell'inserzionista: lo spot è costato un investimento, si spera che produca un incremento delle vendite, quindi, per quanto raffinato, è un artificio finalizzato a creare una realtà alternativa, un maggior valore di scambio, un valore aggiunto, e tutto questo avviene non appena un qualsiasi prodotto si costituisce in marchio e necessita di un'astrazione comunicativa (cioè sempre). C'è da stupirsi piuttosto del fatto che sia solo una sparuta minoranza del meccanismo pubblicitario ad avvalersi di questo stratagemma costantemente praticato da imbonitori, comici e politici. Viene da pensare che questo avvenga per una mancanza di preparazione da parte dell'audience: per permettersi quel pizzico di divertita autocritica bisognerebbe essere disposti a non prendersi troppo sul serio, ma questo può avvenire solo in chi non prende costantemente in giro se stesso. In una società impaurita, vessata, minacciata da una guerra psicologica costante vale ancora l'antiquata pratica del bastone e della carota, implicante l'inevitabile corollario di una ridda di spot affaccendati nella fondazione di effimere mitologie pre-razionali, ed estranei a qualsiasi concept in grado di generare il più blando dei processi mentali in chi li dovrà visionare.

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