04/01/10

Dolcezza siderale

L'azienda italiana più impegnata a popolare pervasivamente l'immaginario dei propri acquirenti con trasfigurazioni rassicuranti e allegoriche non poteva di certo far mancare i propri calorosi auguri, e noi, in quanto accaniti consumatori di prelibatezze dolciarie, ci troviamo costretti a ricambiare tali attenzioni, vorremmo pareggiare i conti con un apparato tecnico ed estetico altrettanto potente, ma invece ci ritroviamo, desertificati, a scagliare invettive come pezzi di mobilio lanciati dalle mura di un fortino individuale sotto crudele assedio da quarant'anni, covando nell'intimo il desiderio che quell'abete natalizio tanto elegantemente apparecchiato ceda ai colpi del nostro arsenale immaginativo, luogo depredato e razziato dalla contemplazione permanente, ma ancora in grado di fornire argomenti abbastanza solidi da farsi perdonare d'essere eterogenei e raccogliticci. La qualità dei biscotti e delle immagini Barilla è altissima, le due cose vanno di pari passo, il problema anzi è proprio che la grandiosità di questi spot irrita proprio per la mancanza di un senso del limite, per la sproporzione tra senso del bello e consistenza delle finalità, per un gigantismo del prodotto che producendo la potente suggestione di un mondo migliore preclude la realizzazione dello stesso per una delirante osmosi di significati tesa a prosciugare la realtà. Così come l'allineamento di stelle a distanze diversissime e non appartenenti ad un vero volume di spazio condiviso ingannano l'occhio e ci fa vedere costellazioni del firmamento, le estrusioni del popolare biscotto affiorano da un cielo efficacemente commercializzato proprio grazie all'impossibilità di trarne una visione prospettica. Potremmo frazionare l'intero video nei suoi elementi, storyboard, casting, fotografia, illuminazione, post-produzione, doppiaggio, copyright, apparato informatico, recitazione, un impressionante lavoro di squadra destinato a far sopravvivere la famiglia come un malato terminale bisognoso di ciascuno di questi elementi per apparire in modo convincente sul monitor, l'unico vero orizzonte sensoriale concreto del futuro consumatore di biscotti al cioccolato, spazio discreto perfettamente normato e gestibile, suddiviso in pixel che ammorbidiscono le spigolosità con il filtro anti-alias della sospensione dell'incredulità. Rappresentare è uccidere, sottrarre, togliere potenza ai simboli e quanto più magniloquente è la rappresentazione tanto più un fantasma emerge dalle immagini, una necessità di senso spettrale e sottointesa, ma alla voce suadente che chiede di lasciare che i pargoli vadano a lei, dentro a noi rispondono urla agghiaccianti: no, il futuro non può essere solo nelle vostre tasche perché avete i mezzi per raffigurarlo, e non si parla di semplice boicottaggio del canale comunicativo, la rappresentazione di taglio cinematografico è una violazione narrativa, è un crimine psicologico, è una perversione in quanto viene rivolta a temi talmente non problematici da far sospettare che anche la propria esistenza debba vivere di ridondanze morali, di perbenismo, conformismo, fiducia cieca nelle condotte cilindriche di intestini industriali volti a darci il nutrimento, approvazione interiore di una success story arrembante vero punto nodale del reiterato sproloquio barillesco. Finchè il carboidrato avrà successo, continuerà a permanere nel firmanento ideologico dell'individuo, un satellite geostazionario verso il quale rivolgere la propria parabola, un sopruso alla fantasia, un ritorno al kitsch e al barocco che fa coincidere il potere economico al privilegio di poter raffigurare la realtà. Alimentati dalla semplice disponibilità di potere, non solo i marchi dell'azienda e derivate, ma persino il logo del singolo prodotto ha modo di personificarsi beneaugurante, scagliando la famigliola in uno scenario tanto superlativo quanto inarrivabile, inaccessibile magia artificiale coperta da copyright che di fatto resta inimitabile, perfetta, e quindi assolutamente morta. L'uomo è scomparso, oppresso da una volta che ormai non è più celeste, unica risorsa fantastica è un flash-forward in cui archeologi pubblicitari rideranno della pomposità di un circuito mediatico così disperatamente ancorato ai "valori", e studieranno la proliferazione di un monopolio che da mercelogico è diventato sproporzionatamente comunicativo, un osceno trust monoprodotto che non sa più cosa invadere, presupposto patrocinatore dell'infanzia, immotivato promulgatore di assopimento e stagnazione mentale, nel migliore dei casi realtà imprenditoriale talmente ingombrante da dover compiacere inclinazioni fideiste e patriottiche, un'azienda costretta a fornire, oltre che prodotti da forno, delle fottute risposte ai dissidi esistenziali dell'italiano. Accanto ad affabulatori e sacerdoti del buonsenso aspettatevi di vederlo arrivare prima o poi, grottescamente goffo, un pandistelle biologico in doppiopetto, a sedersi su una poltrona del salotto buono, privo di un vero encefalo dal quale l'evoluzione possa far germinare un cervello, il biscotto definitivo, in via di putrefazione e sciolto dai riflettori, vestito da businessman, impegnato a comunicare con un text-to-speech radiocomandato e uno speaker nascosto, affaccendato a chiedere di venir desiderato, acquistato, consumato, votato, amato.

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