05/01/10

Vite scontatissime

Come nel corso delle grandi catastrofi, a fronte dello spreco e del disastro può manifestarsi un'allettante contropartita, godibile solo nel caso in cui, spettatori incolpevoli, riusciremo a sopravvivere al cataclisma ed appuntare un'invidiabile testimonianza al nostro personale curriculum, nel replicare le gesta di Plinio il Vecchio spettatore della distruzione di Pompei staremo ad osservare questo spot, studiando in tempo reale le singole facce del potere economico che slittano pericolosamente come fronti di immani ghiacciai, accettando tentazioni totalizzanti, muovendo ciascuno a turno i primi passi nel territorio inesplorato dell'ideologia, concreta manifestazione della tensione di ogni fornitore di servizio a trasformarsi, dandogli lo spazio e il tempo sufficiente, in un'autorità morale di qualche maledetto tipo. Nevica negli interni, le intemperie invadono i manufatti abitativi dell'uomo a favor di telecamera, la commistione è necessaria alla trasfigurazione poetica, se nella poesia ci includiamo per definizione anche le manifestazioni più grossolane, quelle che arraffandosi licenze nei confronti della realtà, della metrica e del linguaggio armano di pericolose consonanze cognitive concetti che è molto generoso definire puerili contraddizioni. Attratti dallo specchio per le allodole che sono i prodotti civetta, consumatori riversati nelle corsie non cercano più solo del mais in scatola, pacchi di acqua minerale e polli arrosto: ormai svuotati dall'infernale cortocircuito di produzione e consumo si aggirano demotivati e confusi, non sapendo più a quale suggestione pubblicitaria credere, nell'impossibile tentativo di compensare quella noia esistenziale che in condizioni naturali porta beneficamente al suicidio. Uno xilophono immenso capitana una big band nel lancio del crooner confidenziale, un improbabile San Bernardo, dotato del proverbiale sesto senso delle bestie, presagisce e traina la padrona verso l'evento, i bambini sorridono a sproposito come sempre, il pilota si decide ad azionare l'alzacristallo elettrico per meglio traguardare la fonte di sconcerto. Ma, invisibile ed extra-diegetico, non arriva un redivivo Sinatra, bensì un dinosauro cantautorale all'italiana che si innesta sull'introduzione jazzy con un marchiano bisticcio stilistico, e, su una serie di slowmo gratuiti, inanella banalità infuocate con il timbro gutturale di un disarmante e spelacchiato leone da circo intento a spiccare un volo rasoterra. Voce roca e paterna, anticamente destinata a ossequiare con il citarismo il patrimonio della saggezza popolare, ormai residuato fonogenico di una discografia scaltramente mimetica, corredata da una terminologia essenziale da lobotomizzati, il cantautore di regime cerca di sdoganare il luogo dell'anonimia per eccellenza confezionando un'illusione sonica, un retrofuturismo che strizza l'occhio all'impegno di sinistra anni '60/70 tutto chitarra e partecipazione, un'impossibile voce discordante pregna della propria originale visione del mondo, purtroppo scaricata anch'essa col muletto elettrico omologato da un autotreno, al termine di un lungo viaggio tra scatolame e bancali di zucchero in buste da un chilogrammo, finalmente conferito, su un mini palcoscenico a rotelle incluso nel prezzo, fino alla zona antistress / offerta crostini con olio d'oliva alla clientela da parte di hostess in tailleur blu elettrico. Il testo della canzone punta verso il basso come la neve che diserta gli spazi aperti per adornare le corsie sovraccariche di prodotti, tira in ballo polivalenti categorie di bene e di male, confortando in modo indifferenziato il neonazista, il donatore d'organi, lo stupratore seriale, l'educatore, il migrante, la partoriente, lo spacciatore d'eroina, lo psicogeografo, il sacerdote, lo gnomo, le intelligenze artificiali, i piccoli animali domestici, i blogger, i capi di stato e gli asfaltisti. Sono tutti loro ad aver abboccato ed a formare un surreale corpo di ballo, a scuotere l'ombrello per una nevicata inesistente che poteva soltanto suggerire la negazione di un mondo esterno quale unico possibile spazio continuo, per la spinta ad uno stile di vita claustrofobico nel quale il sentimento del panico spadroneggia alla minima mutazione di una delle variabili ambientali: ordinato nella fila e tutore del proprio ordine, il consumatore natalizio è pronto a trafiggere chiunque gli rubi il posto con una stella cometa in plastica alimentata a 12 Volt, e non per vera cattiveria, ma per un insoddisfatto desiderio di violenza costretto ad incanalarsi nelle isterie a buon mercato proposte dalla routine pre-pensionamento. Prodotto finito di cattiva musica e pessima narrazione, l'acquirente zombie può soltanto crogiolarsi in visioni massimaliste e superficiali, deve andarci a ruota, non può più farne a meno, pena la crisi d'astinenza. Al bianco natale deve opporre polvere bianca, farmaceutica o narcotica, arte parasintomatica e inoffensiva, trincerante, corroborante, assoggettata fino al midollo alle logiche di mercato. Finché in lui soffierà un alito di vita, dovrà soltanto allungare la mano sullo scaffale e lasciarsi convincere, e ci sarà sempre qualcuno a cantargli le buone ragioni dell'incubo, padre sintetico smembrato cristologicamente nella ragnatela elettromagnetica che pervade l'atmosfera e sovrasta il tessuto urbano, un sussurro compiacente, davvero, proprio come se l'inferno ridesse attraverso la bocca di un asino.

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