18/02/10

RetoriCar

Mentre imperversa la polemica per la potenziale chiusura di uno dei suoi stabilimenti, con il conseguente impatto sociale che ne deriverebbe (una dinamica apparentemente dissonante con i contributi percepiti dallo Stato per la sua natura di azienda di interesse generale per la collettività) Fiat ci invita a salire sul trenino della memoria speculando con registro baritonale su quello che Erich Fromm definiva "la Grande Promessa di uno Sviluppo Illimitato". Il figlio di Ugo Tognazzi giustifica la miniaturizzazione dell'auto con motivazioni ecologiche, mentre in sottofondo Amedeo Minghi canta "1950", brano modificato per l'occasione al fine di includere nel testo il tozzo autoveicolo reclamizzato. Le approssimative aspirazioni ad un sogno imprenditoriale (che non si capisce quanto possa essere condiviso dal cittadino consapevole che ad ogni affondo sull'acceleratore un orso polare va alla deriva su un iceberg) vengono giustapposte a quelle della coppia italiana cantata da Minghi negli anni '80, un mix di volontà di realizzazione sentimentale ed economica comune ai cliché del neorealismo, con tanto di nome proprio dell'amata incastonato nelle liriche. Ma se nel brano originale Serenella osserva gli americani che se ne vanno dopo aver liberato l'Italia, nello spot beneaugurante del 2010 viene reclamizzato l'effettivo approdo della city car nei punti vendita di New York. L'impressione generale è che più che sentirsi invogliato ad acquistare il bene reclamizzato, lo spettatore dovrebbe sentirsi orgoglioso del fatto in sé, tributando il proprio consenso a quest'azienda storica ma controversa, o perlomeno deponendo quella molotov accesa che reggeva in mano con l'intento di dar fuoco ad un cordone di incolpevoli poliziotti armati di tutto punto. La 500 fa una virtù delle proprie dimensioni contenute, anche se la vediamo marciare solitaria su una carreggiata del Ponte di Brooklyn apparentemente lasciata deserta per l'occasione. Da questo polpettone double face, un ripieno di celluloide passatista avvolto in morbide facciate di grattacieli immaginifici, emerge un inaspettato colpo di scena, un'apertura solidaristica e confortante verso le fasce più deboli: "oggi sappiamo che non è importante quanto grande sei tu, ma quanto è grande il tuo sogno". Questa è una vera buona notizia, dacché non è un'intercettazione ambientale raccolta mentre Ricky Tognazzi, sorseggiando un margarita, cerca di abbordare una top model sotto al metro e settanta, immerso in una piscina nel contesto di un party esclusivo. Non bisogna farsi ingannare dal look futurista degli slogan a carattere slanciato: il migrante, appeso a un filo in acque extraterritoriali, può sentirsi finalmente compreso e colto nel suo stato di necessità impellente, armato com'è di un italian dream talmente forte da spingerlo a rischiare la vita per realizzarlo. Dulcis in fundo, questa morale omnicomprensiva ci convince attivamente delle buone intenzioni dell'impresa, evidentemente impegnata per il benessere della nostra patria e dei suoi futuri cittadini. Forse qualche benpensante sarà portato a leggere questo messaggio come un incoraggiamento un po' buonista a stelle e strisce, ma si sbaglia di grosso. Quella vecchia berlina aristocratica che si suddivide in cellule altro non rappresenta se non l'inizio di un inarrestabile processo di ridistribuzione fortemente voluto da FIAT. L'ottimismo ci deve portare a credere che in tempi brevi ci sarà abbastanza ricchezza per tutti, in uno scenario multietnico in cui basterà portare capelli intrisi di brillantina e ruminare la gomma del ponte per azzerare le tensioni sociali. Armati di valigie di cartone e broccolino, dovrebbe riuscirci più difficile condannare le mire espansionistiche dello Scià Ottomano.

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