Rifletto sulla differenza tra sentimento ed emozione, e concludo che quest'ultima è altamente più congeniale al linguaggio pubblicitario, ed implica lo spiegamento di mezzi proprio degli effetti speciali degli spot, capaci non solo di sollevare un grande stupore nelle avide retine di un pubblico assuefatto alla disomogeneità schizofrenica scaturita da una sequenza di spot drasticamente diversi tra loro, ma anche di concentrarlo nel breve arco di tempo di un'apnea, in virtù di una verosimiglianza in grado di vanificare ogni ulteriore tentativo di analisi descrittiva. Cos'altro, infatti, si potrebbe dire per raccontare questo spot a chi non l'ha visto, se non che al passaggio della Mitsubishi un immenso lenzuolo si solleva dalla città? Il fotorealismo ammutolisce la trasmissione orale. La New Lancer sfreccia sulla carreggiata mentre tutto il mondo si svela, o per essere più precisi esce allo scoperto un mondo che già stava conducendo una sua vita autonoma, come si percepisce dall'indifferenza che i passanti riservano al telone, che scivola sopra alle loro teste facendoli sembrare soldatini di piombo nuovi di zecca scartati dalla confezione. E data l'importanza dell'acquisto di un'autovettura, la frase finale, "tutta da scoprire" poco sembra rivolta al prodotto, quanto più pare riferirsi al sistema di valori materialistico nel quale è possibile far breccia appunto dotati di benessere materiale, e che non sarebbe altrimenti accessibile. Il mondo scopre se stesso non perché grazie all'automezzo sarà possibile compiere chissà quale esplorazione geografica, salutare espansionismo territoriale proprio dei mammiferi gregari in un ecosistema ancora in grado di fornire risorse, ma perché servirà come chiave d'accesso a una rete di relazioni per la quale, senza un rassicurante certificato di benessere a quattro ruote da poter esibire, saremmo invisibili. Il semaforo progredisce mentre l'arpeggiator della musica sintetica cambia colore, l'automezzo grintoso ma politicamente corretto riprende solo al verde la sua cavalcata, per evitare sconvenienti contravvenzioni, e sfila sulla passerella di una crosta urbana di poca attrattiva, fatta di architettura da abusivismo edilizio, muri invecchiati e infissi piuttosto scomodi. Di sicuro quelle geometrie fin troppo regolari, adattissime a far equivocare una via con l'altra al malcapitato turista, sono uno sfondo grigiastro che non pretende di rubare la scena al prodotto. In ognuna delle finestre che, così prevedibilmente uguali tra loro, ci guardano dalle facciate in cemento dello slum, balugina il nostro animo voyeuristico assetato d'immagini, lieto di poter trascorrere l'esistenza in un metro cubo dal quale poter guidare bombardieri senza pilota Predator, ma munito di una limitata capacità di rappresentazione dalla quale non cresce più poesia.
09/02/09
Il Gulliver
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