31/03/09

No future

Dopo un primo attimo di spaesamento, ci si può rendere conto che quello che stiamo vedendo non è il promo di una nuova telenovela sudamericana. La fotografia è troppo accurata, i costumisti troppo bravi ed è stato persino smobilitato Michele Gammino, il doppiatore italiano di Harrison Ford. Pietro Barilla (1845–1912) non è mai stato così bello. E quelle che vediamo non sono le pianure del Brasile ma vogliono essere fecondi latifondi parmensi. La corazzata dell'economia italiana si smuove, e più della sontuosa colonna sonora orchestrale sembra di sentire lo scricchiolio di uno scafo in acciaio costretto in acque sempre meno profonde. L'azienda che in qualche modo ha cambiato il modo di fare advertinsing si gioca una carta infallibile per riaffermare la propria autorevolezza ormai secolare: raffigurare l'Età dell'Oro. In quali tempi se non in questi (bui) sarebbe vantaggioso evocare con tanto sforzo di suggestione il fatto che è il passato (dell'azienda, ma per estensione, anche della nostra nazione) la nostra vera risorsa? Non ci è possibile guardare al futuro con speranza, non mi sembra di vedere treni superveloci a levitazione magnetica trasportare ingenti scorte di confezioni di spaghetti n°5 da un chilogrammo. L'unico modo per infondere fiducia al presente è quello di portare le lancette dell'orologio ad un secolo fa per far sembrare il quotidiano una munifica fantascienza andata a buon fine. Se si parla di Barilla si parla dell'Italia, e quest'attribuzione è retroattiva nel senso di responsabilità esibito dal cortometraggio che scivola davanti ai nostri occhi dolcemente, ma anche paurosamente. Se l'immaginario collettivo arrocca nel passato, di cosa possiamo stupirci se abbiamo i militari per le strade, a circolare vagamente intontiti per darci un senso di sicurezza altamente esibito, ma che pochi anni fa ci sarebbe sembrata una intollerabile regressione sociale, la longa mano del potere dello Stato sull'individuo, un polveroso gioco di ruolo di nostalgico autoritarismo. Se milioni di euro sono stati spesi da una delle aziende italiane più importanti e più affermate nel mondo, solo per celebrare il passato con uno spiegamento di mezzi brutale, con un'estetica perfetta e cinematografica, a cosa deve ambire l'individuo se non a baciarsi le mani per il proprio salario precario e a ridimensionare le proprie aspettative. Questa è una comunicazione non governativa, un cucchiaio di Lete che cancelli un presente troppo difficoltoso in favore di un rassicurante passatismo. Questo è un colpo al cuore di una generazione, nei nostri padiglioni auricolari risuonano le ultime note di techno-trance e goa assieme ai racconti di genitori immortali circa l'assenza di calzature durante la guerra, materassi con foglie di pannocchie, scenari bucolici e scarsità di benessere materiale, grande solidarietà patriarcale in casoni veneti con pavimento di terra battuta, un senso della morale annodato al paesello, al fottuto prete, alle istituzioni non permeate dalla corruttela degli sporchi interessi economici fioriti accanto ai primi autogrill, al boom, al lassismo della classe dirigente che durante gli anni '80 ha deciso che il debito pubblico poteva crescere a dismisura, minando irreversibilmente la verità del nostro benessere. Negli accordi maggiori di Barilla l'ascoltatore italiano si paralizza in un'eterna giovinezza che è vecchiaia istantanea, una raffigurazione pittoresca del nostro paese che sarebbe tollerabile per uno spot turistico viene diffusa capillarmente sui nostri teleschermi con una valenza indiretta di proclama attuale. Nella bassa marea della paura gli scogli della retorica affiorano con il loro raccapricciante compendio di sentimentalismo e perbenismo, incrostato e putrido e non-morto. È questo quello di cui ci stiamo nutrendo, non un buon piatto di spaghetti, ma scorie marcescenti della nostra mancata emancipazione.

1 commento:

Gennaro ha detto...

Ottima analisi.Qui si gioca al completo ribaltamento della verità.Se c'è una pasta mediocre(per non dire schifosa)è proprio la barilla.E il fatto che proprio la barilla sia effettivamente esportata in mezzo mondo la dice lunga su come il concetto di meritocrazia sia sempre più sputtanato in nome del profitto e del potere.In attesa che la Monsanto ci faccia mangiare il suo mais transgenico terminator,con annessi geni di mosca(avete capito BENE!) io me ne guardo bene dal consumare sti spaghetti dal sapore banale come questo spot!
G.


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