Con una certa piega esistenzialista che ci piace, Collirio Alfa, per parlare del nostro trasduttore ottico-cerebrale, spezza improvvisamente il torrenziale flusso d'immagini del carosello pubblicitario ponendoci di fronte ai titoli di coda della nostra giornata tipo. La scelta di astrarre le varie attività del telespettatore rendendole simboli grafici, piuttosto che immagini, nasce da una doppia necessità. Anzitutto dare al messaggio una tensione universale, evitando ad esempio di descrivere "la passeggiata con il cane" con un Carlino infiocchettato mentre il nostro cane è un Pitbull munito di collare borchiato, o "la fidanzata" con una sciantosa taglia 40 mentre la nostra chimica dei sentimenti ci ha portati verso un modello di compagna più materno, una pasticciera siciliana oversize. In secondo luogo, un effettivo risparmio di costose riprese di tutte le scene succitate. L'intera cinematografia ha creato un assist perfetto per questo preparato da spremersi negli occhi: così come quando nel multisala allunghiamo la mano sulla giacca preparandoci ad uscire, interrogandoci su cosa rappresenti per noi quell'anonimo aiuto cameraman elencato nel testo scorrevole, anche i nostri fatti più privati diventano porzioni di un copione che vogliamo veder innalzato ad una gratificante dignità cinematografica. È una ben triste cosa che questo preambolo accattivante sia soltanto l'anticamera del vero messaggio commerciale, teso a farci addirittura temere la cecità emotiva, se non utilizzeremo il portentoso ritrovato. Se ogni consiglio è anche un po' un ricatto, il consiglio interessato è una vera e propria estorsione. Facendoci illudere d'avere un vissuto degno di Hollywood, il collirio insuffla in noi ambizioni che ci consegnano alla rovina. Si parla, si pensa, si ha la stessa fede dei personaggi dei film, quando in aggiunta all'entertainment televisivo anche l'ottava musa scende dal suo piedistallo per pervertirci in modelli di pensiero terribilmente conseguenti, pericolosamente semplificanti, oscenamente violenti. Se il salutare divario tra l'essere spettatori di un film e l'essere attori della propria vita deve venir accorciato da una migliorata performance del nostro senso della vista, è meglio sversare questo collirio nello scolo del lavandino e strapparci i bulbi oculari come nel finale de L'uomo dalla vista ai raggi x, per l'insostenibile visione del Dio della fiction. Nuovi e rinnovati titoli di coda scorrererebbero nel buio, in una cecità al mainstream vissuta come impagabile sollievo. Farebbero capolino termini che si discostano dalla glorificata miseria del quotidiano che fa bella mostra di sé su tutti i teleschermi, con l'unico scopo di avallare una mentalità da condannati a vita e spingerci all'acquisto di plusvalori psicologici abilmente mercificati. Emergerebbe il lato oscuro di ognuno di noi, sottaciuto e rinchiuso tra quattro pareti, l'outing di tutte le segrete fellatio praticate nella cabina del proiezionista mentre i telespettatori applaudono, il misto di gioia e sopraffazione che spiega la nostra attrazione per gli antieroi dei thriller più macabri, una più sincera, imperitura ed esplicita libido distruttiva, edonista e nichilista che è il vero movente di tutte le ridicole rappresentazioni di facciata, utili a controbilanciare una diffusa assenza di finalità, di senso e di bene.
15/06/09
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